LA SOFFERENZA DEI GIUSTI
Se è solo con gli scritti di Leibniz che viene introdotto il termine “teodicea”, l’affrontare il problema della coesistenza di Dio e del male ed il cercare di porre a questo soluzione non possono certo dirsi frutti di sensibilità moderna. La riflessione fiolosofico-teologica volta al tentativo di conciliare l’apparentemente inconciliabile, ossia la sussistenza di una Giustizia Assoluta che punisca la colpa e gratifichi la rettitudine con la quotidiana realtà del colpevole impunito e del giusto sofferente, affonda invero le proprie accertate radici storiche già nella letteratura sapienziale egizia e babilonese; con accenti variamente declinati ritorna nella tradizione greca: nel prologo dell’Odissea, in Eschilo, in Anassimandro, in Platone, in Plotino…
Alle radici del pensiero giudaico cristiano è paradigmatico l’esempio di Giobbe:
“Nella regione di Uz viveva un uomo chiamato Giobbe. Era onesto e giusto, rifiutava il male perché rispettava Dio. Aveva sette figli e tre figlie. Possedeva settemila pecore, tremila cammelli, mille buoi, cinquecento asine e aveva moltissimi servitori. Era l’uomo più importante tra quelli che vivevano a Est di Israele” (Giobbe 1,1);
“- Hai notato il mio servo Giobbe? – chiese ancora il Signore. Poi aggiunse: – In tutta la terra non c’è nessuno onesto e giusto come lui. Egli rifiuta il male perché serve Dio” (Giobbe 1,8);
“Un uomo venne a dire a Giobbe: – I predoni Sabei …hanno rubato i buoi che aravano e le asine che pascolavano là vicino. Hanno ucciso tutti…- Mentre quest’uomo stava ancora parlando, un altro servo venne a dire a Giobbe: – E’ caduto un fulmine che ha ucciso il tuo gregge e i tuoi pastori…- Quest’uomo non aveva finito di parlare, quando un altro venne a dire a Giobbe: – Tre bande di predoni babilonesi si sono gettate sui tuoi cammelli, li hanno presi e hanno ucciso i tuoi uomini…- Quest’uomo stava ancora parlando con Giobbe quando un altro venne a dirgli: – I tuoi figli e le tue figlie banchettavano a casa del fratello maggiore e, d’un tratto, un vento fortissimo…ha fatto crollare la casa. Sono morti tutti...-” (Giobbe 1,14-1,19);
“Satana si allontanò dal Signore e colpì Giobbe con una terribile malattia… Andò a vivere tra i rifiuti e la cenere…” (Giobbe 2,8).
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Il libro di Giobbe è opera complessa: il racconto in prosa, di tipo popolare, caraterizza inizio e fine; il corpo centrale è costituito invece di ben 40 capitoli nello stile della poesia ebraica.
Il contenuto, nei suoi tratti essenziali, è noto:
– (capitoli 1-2): Giobbe, uomo giusto, viene colpito da tremende disgrazie. Egli non sa che Dio lo sta mettendo alla prova, tuttavia mantiene ferma la sua fede;
– (capitoli 3-27): tre amici, Elifaz, Bildad e Zofar, vengono a consolare Giobbe. Per loro la sofferenza è sempre la punizione di una colpa. Giobbe sostiene la sua innocenza e rifiuta di considerare le sue sofferenze come una punizione divina. Anzi: vuole incontrare Dio perché è certo di ottenere da Lui giustizia;
– (capitolo 28): elogio della sapienza;
– (capitoli 29-31): Giobbe ribadisce le sue ferme convinzioni;
– (capitoli 32-37): interviene un nuovo personaggio, Eliu, il quale vuole dimostrare che la sofferenza aiuta l’uomo a prendere coscienza di sè, perché ha un valore educativo;
– (capitoli 38-42): dialogo tra Giobbe e Dio;
– (capitolo 42): a Giobbe viene fatto dono di ogni possibile ricchezza e letizia.
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Esulando certo dalla presente riflessione ogni tracotante convinzione di completezza ed esaustività, preme soffermare l’attenzione sulle parole di Eliu il quale afferma:
“Sulla base di una conoscenza profonda, voglio rendere giustizia al mio creatore” (Giobbe 36,3).
Eliu è in collera con Giobbe, perché questi, difesosi dalle accuse dei tre amici Elifaz, Bildad e Zofar e proclamatosi innocente, “si considerava più giusto di Dio” (Giobbe 32,3). Diversamente da coloro che, in quanto più anziani, hanno parlato prima di lui, Eliu non ricerca la spiegazione della sofferenza nella Giustizia Retributiva; egli introduce un concetto nuovo, quello della sofferenza come prova con fine salvifico:
“Quando gli uomini sono improgionati ed afflitti dalle conseguenze delle loro azioni, Dio mostra loro gli errori e le trasgressioni che hanno commesso per orgoglio, apre le loro orecchie perché imparino e li invita ad abbandonare la stoltezza. Se essi ascoltano ed ubbidiscono, trascorreranno i loro giorni e i loro anni nel bene e nella prosperità. Ma se non ascoltano, verranno colpiti, moriranno senza rendersene conto. I malvagi, invece, saranno pieni di collera e non invocheranno aiuto nemmeno quando Dio li punisce. Essi moriranno ancora giovani… Dio soccorre l’afflitto con la sofferenza, lo corregge mediante la disgrazia” (Giobbe 36, 8-13)
Alla fine del libro, Dio si manifesta a Giobbe annichilendo, nella sterminata potenza della creazione, la fragilità del suo essere uomo: Giobbe ha preteso di capire cose che vanno al di là dei suoi limiti. A salvarlo è però la sua vera fede e per questo sarà premiato.
Il Libro si chiude così con la constatazione che nessuna idea umana può spiegare il mistero di Dio.
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Nel Nuovo Testamento:
“In quel momento si presentarono a Gesù alcuni uomini per riferirgli il fatto di quei Galilei che Pilato aveva fatto uccidere mentre stavano offrendo i loro sacrifci. Gesù disse loro: “Pensate voi che quei Galilei siano stati massacrati in questa maniera perché erano più peccatori di tutti gli altri Galilei? Vi assicuro che non è vero: anzi, se non cambierete vita, finirete tutti allo stesso modo. E quei diciotto che morirono schiacciati sotto la torre di Siloe, pensate voi che fossero più colpevoli di tutti gli altri abitanti di Gerusalemme? Vi assicuro che non è vero: anzi, se non cambierete vita, finirete tutti allo stesso modo” (Luca 13,4);
Cfr: “Dio rinfaccia ai re la loro arroganza e ai nobili la loro corruzione; non fa preferenze per i principi, nè favorisce i poveri: egli ha creato gli uni e gli altri. Tutti possono morire all’improvviso, nel cuore della notte, perire colpiti da un disastro” (Giobbe, 34,18-20).